Rifiuto del test del DNA e declaratoria di paternità

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La Corte di Cassazione con la sentenza n. 20235 del 19/11/2012 conferma la linea dura ed il proprio orientamento in materia di prova del DNA ai fini dell’accertamento della paternità naturale, riconoscendo la paternità naturale dell’uomo che rifiuta di sottoporsi all’esame ematologico, anche se ha una protesi per una disfunzione erettile.

La Suprema Corte ha difatti ritenuto che le disfunzioni delle quali è affetto il ricorrente non sono in grado di incidere sulla sua capacità di generare e che le giustificazioni addotte dallo stesso, relative alla tutela della propria privacy, al fine di non sottoporsi all’esame del DNA risultano prive di alcun fondamento, posta anche la natura assolutamente non invasiva dell’esame da svolgere, per il quale è sufficiente un campione di saliva o di capelli. La prova del DNA, grazie ai progressi della scienza biomedica, ha ormai raggiunto nell’ambito dei mezzi probatori destinati all’accertamento della paternità valore decisivo, consentendo di dimostrare l’esistenza o la non esistenza del rapporto di filiazione con un grado di probabilità piuttosto elevato, tanto da aver indotto la Suprema Corte non solo a riconoscerle piena efficacia probatoria, ma ad attribuire valore probatorio addirittura all’ingiustificato rifiuto del genitore naturale a sottoporsi a tale esame.

In particolare, la Cassazione ha affermato che l’assenza di prova di effettivi rapporti tra la madre ed il preteso padre all’epoca del concepimento, non esclude che il giudice possa desumere argomenti di prova dal comportamento processuale dei soggetti coinvolti, ed in particolare dal rifiuto del preteso padre di sottoporsi agli accertamenti biologici, giungendo persino a trarre la dimostrazione della fondatezza della domanda esclusivamente dalla condotta processuale del preteso padre, posta in opportuna correlazione con le dichiarazioni rese dalla madre.

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