Risarcibilità del danno esistenziale: presupposti, prova e criteri risarcitori
La Suprema Corte – sezione lavoro – con Sentenza del 23-11-2015, n. 23837, torna a parlare di danno esistenziale, confermando il precedente orientamento espresso dalle Sezioni Unite con sentenza n. 6572 del 2006.
I Giudici di legittimità ribadiscono che il danno esistenziale, a differenza del danno morale, non ha una natura meramente emotiva ed interiore, ma si concretizza nel verificarsi di un pregiudizio, oggettivamente accertabile, che porta il soggetto che lo subisce ad effettuare scelte di vita diverse da quelle che avrebbe in concreto adottato se non si fosse verificato l’evento dannoso.
Ai fini della risarcibilità del danno esistenziale è necessario, pertanto, che il pregiudizio subito abbia finito per alterare le abitudini e gli assetti relazionali propri del danneggiato, inducendolo a scelte di vita diverse che ne sconvolgono la vita quotidiana, privandolo di occasioni per l’espressione e la realizzazione della sua personalità nel mondo esterno.
Considerata la natura risarcitoria del danno esistenziale, il soggetto interessato dovrà necessariamente fornire la prova, con riferimento non soltanto al fatto costituivo dell’illecito (nella specie, la dequalificazione), ma anche alle relative conseguenze (cioè che la vicenda abbia inciso negativamente nella sfera di vita del soggetto), prova il cui onere può, peraltro, ritenersi assolto attraverso tutti i mezzi che l’ordinamento processuale pone a disposizione della parte, dal deposito di documentazione alla prova testimoniale a quella per presunzioni. La mancanza di allegazioni sulla natura e sulle caratteristiche del danno esistenziale impedisce, pertanto, al giudice ogni liquidazione, sia pur in forma equitativa, perché questa, necessita pur sempre di parametri oggettivi cui ancorarsi.
Il giudice nel riconoscere l’esistenza di tale danno deve attenersi strettamente all’allegazione che ne fa l’interessato sull’oggetto e sul modo di operare dell’asserito pregiudizio, che non può desumersi da mere formule standardizzate, elusive della fattispecie concreta.
Il danno esistenziale infatti, essendo legato indissolubilmente alla persona, non può essere determinato secondo il sistema tabellare – al quale si fa ricorso per determinare il danno biologico – necessitando di precise indicazioni, che solo il soggetto danneggiato può fornire, indicando le circostanze comprovanti l’alterazione delle sue abitudini di vita.
I giudici di legittimità hanno pertanto ritenuto che ai fini del riconoscimento del danno esistenziale (nel caso di specie derivante da mobbing), non è sufficiente la prova della dequalificazione, dell’isolamento, della forzata inoperosità, dell’assegnazione a mansioni diverse e inferiori a quelle proprie, ma è necessario dare la prova che tutto ciò, concretamente, abbia inciso in senso negativo nella sfera del lavoratore, alterandone gli equilibri e le abitudini di vita.
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